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Vola l’export dei cappelli fermano-maceratesi: +71,8% verso la Svizzera

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di Michele Romano

Moda. Vendite all'estero record per i cappelli del polo fermano-maceratese

3' di lettura

I cappelli che si producono nel fermano-maceratese hanno definitivamente convinto le grandi case internazionali della moda. La Svizzera, dove si trovano i principali hub logistici della distribuzione globale del segmento del lusso, continua a essere il primo mercato di riferimento, grazie a una crescita che nel triennio 2020-2022 è stata del 71,8% per un valore di prodotti esportati che l’anno scorso ha toccato 50 milioni di euro. La Francia è il secondo importatore e l’incremento nel triennio è stato addirittura del 124,4%, a quota 40 milioni nel 2022: qui hanno sede i più grandi gruppi della moda e del lusso, tra i quali LVMH e Kering, che anche attraverso gli uffici stile dei loro brand stanno accompagnando anche il cappello marchigiano nella transizione green, decidendo quali materiali utilizzare, non inquinanti già dall’inizio della filiera, e puntando sempre di più sulla qualità per allungare la vita dei capi. Crescite a doppia cifra percentuale ci sono state anche in Germania (+24,8% e terzo paese-cliente), Stati Uniti (+36,8%) e Regno Unito (+19%), dove l’impatto della Brexit e del covid è stato praticamente azzerato. Tutti segnali inequivocabili di un prodotto riconosciuto e apprezzato nel mondo per la qualità artigianale che riesce a esprimere. Complessivamente, l’anno scorso sono finiti all’estero cappelli di tutte le tipologie di prodotto (tessuto, pelle, feltro, paglia e filato) per un valore di circa 300 milioni, rispetto ai 421 milioni del dato nazionale (+28,4% rispetto al 2021).

Così, il dato di crescita delle importazioni di cappelli dalla Cina, pur significativo per il business delle aziende locali, diventa marginale: si tratta, infatti, di prodotti destinati alla grande distribuzione organizzata, al promozionale e al segmento dei souvenirs, con un target di prezzo medio-basso per un mercato che, dopo la pandemia, è ripartito insieme ai flussi di turisti stranieri che visitano il nostro Paese.

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Il dato forte e significativo resta dunque quello della crescita record delle esportazioni: una spinta sostenuta dall’evoluzione decisa del prodotto, che ha virato verso il segmento medio-alto. «Una buona notizia per i nostri produttori e per l’Italia, visto che nel Fermano-Maceratese è concentrato oltre il 70% della produzione del nostro Paese», dice Paolo Marzialetti, alla guida di Paimar, una delle aziende simbolo del made in Italy nel mondo, e presidente nazionale settore cappello di TessiliVari. Le maisons chiedono qualità artigianale e tempi industriali, la risposta è stata l’automazione spinta, «almeno fin dove è possibile, perché alcune lavorazioni, finiture e controllo continueranno a essere fatti obbligatoriamente a mano». Così dopo la digitalizzazione e la manifattura 4.0 sta entrando in gioco anche l’intelligenza artificiale, benché limitata in particolare alle fasi di progettazione e di prototipazione ma utile ad accorciare a monte i tempi della catena produttiva.

Ai positivi sui fatturati però fanno da contraltare quelli su imprese (complessivamente 123 tutte di piccola dimensione, erano 150 prima della crisi pandemica) e addetti (1.980, circa 200 rispetto al 2019), un calo che sta diventando strutturale per la scarsità di manodopera specializzata, «legata al ricambio generazionale e alla formazione da portare avanti in modalità permanente all’interno di aziende e laboratori da parte dei titolari e dei collaboratori di più lunga esperienza alle spalle, data la forte vocazione manuale e artigianale delle nostre attività produttive, che vanno in ogni caso a integrarsi con i nuovi processi di digitalizzazione e di manifattura 4.0». Diventa così fondamentale la collaborazione con gli istituti tecnici e professionali e con le università e imprescindibile la cosiddetta formazione continua on the job, «da effettuarsi in azienda e destinata alle nuove maestranze e soprattutto a quelle ancora in forza nelle aziende». Le risorse ci sarebbero: «Sono quelle del Fondo Sociale Europeo e del Pnrr, che non vanno sprecate in mille rivoli, ma destinate realmente alle aziende, affinché possano arginare e ribaltare questa tendenza, che rischierebbe di far scomparire a breve interi comparti e distretti produttivi, compreso quello del cappello».

Restano aperte anche altre questioni: «A partire dalla Zona Economica Speciale e dell’Area di Crisi Complessa, irrinunciabili per noi, essendo le Marche una regione in transizione e il nostro distretto produttivo ricadente nel cratere sismico – conclude Marzialetti -. L’abbiamo chiesto invano e ripetutamente alle istituzioni nazionali e regionali, anche per le nostre aziende, come già avviene per quelle dei comuni della Bonifica del Tronto e che, a questo punto, non è più dunque rinviabile».

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