Volano le rinnovabili in Europa: vento e sole valgono un quarto dell’energia
Aumentate di un terzo anche le nuove installazioni eoliche e fotovoltaiche: evitato l’import di 70 miliardi di metri cubi di gas, pari a 100 miliardi €
di Elena Comelli
4' di lettura
È stata un’ottima annata per le rinnovabili in Europa, in particolare per l’energia del vento e del sole, che nel 2022 hanno dato un aiuto essenziale al sistema elettrico europeo in un momento di grave difficoltà, arrivando a coprire da sole il 24% della generazione elettrica europea ed evitando l'importazione di 70 miliardi di metri cubi di gas, per una spesa di quasi 100 miliardi di euro, in base allo studio “More renewables, Less inflation” di E3G ed Ember.
L’anno scorso sono cresciute molto anche le installazioni, con 15 gigawatt di nuovi impianti eolici e 41 gigawatt di nuova potenza fotovoltaica in Europa. Le installazioni eoliche, in base al rapporto annuale di Wind Europe, sono aumentate di un terzo rispetto al 2021, con in testa Germania, Svezia, Finlandia, Spagna e Francia.
Un bel salto, a dispetto delle difficoltà lungo la catena di approvvigionamento, ma ancora insufficiente a centrare gli obiettivi del programma RePowerEu, soprattutto per la lentezza delle autorizzazioni: attualmente in Europa sono bloccati 80 gigawatt di progetti eolici.
«L'aumento del 33% delle nuove installazioni dimostra che l'industria eolica europea è all'altezza della sfida. Ma bisogna semplificare le procedure di autorizzazione e agevolare gli investimenti nella catena di approvvigionamento: fabbriche, lavoratori qualificati, reti, materie prime e navi», sostiene Giles Dickson, Ceo di WindEurope.
Germania in testa
Un salto ancora più notevole è stato compiuto dal solare, che ha messo a segno un'impressionante crescita annuale del 47% rispetto ai 28 gigawatt installati nel 2021 e di più del doppio rispetto al 2020.
«L'Europa ricorderà il 2022 come l'anno in cui è iniziata veramente l'era solare», prevede SolarPower Europe in apertura del rapporto annuale. E i buoni risultati di quest'anno rappresentano solo l'inizio: «Siamo fiduciosi che un'ulteriore crescita annuale del settore supererà tutte le aspettative, andando oltre i 50 gigawatt di nuova capacità nel 2023 e raggiungendo gli 85 gigawatt nel 2026».
In base al rapporto, la Germania è di nuovo in testa alle installazioni, con una crescita di quasi 8 gigawatt fotovoltaici nel 2022. Seguono Spagna (7,5), Polonia (4,9), Paesi Bassi (4) e Francia (2,7). In Italia, invece, le rinnovabili procedono ancora con il freno tirato. Soprattutto l’eolico, che l’anno scorso non è riuscito a installare neanche mezzo gigawatt di nuova capacità.
Nel 2022, secondo i dati forniti da Anev, sono stati installati appena 456 megawatt di nuova potenza eolica, il che porta a 11,7 gigawatt la potenza complessiva. Il solare è andato meglio dell’eolico e ha messo a segno un aumento di 2,6 gigawatt nel 2022, superando per la prima volta la soglia di 1 gigawatt annuale dal lontano 2014, quando il mercato fotovoltaico italiano si fermò di fronte all’incertezza normativa e alla difficoltà di ottenere autorizzazioni.
L’Italia cresce nel solare
Ma ancora non basta. L’anno scorso il solare italiano si è finalmente rimesso in moto e l’Italia è arrivata al sesto posto della classifica europea, ma il Paese del sole potrebbe fare di più: per raggiungere i target europei bisogna almeno raddoppiare il ritmo delle installazioni. Il rapporto evidenzia come il segmento del fotovoltaico su piccola scala abbia trainato la crescita, grazie al regime favorevole del Superbonus 110% e ai prezzi elevati dell'elettricità che hanno migliorato l'attrattiva del modello di business dell'autoconsumo.
In questo contesto, l'associazione prevede buone prospettive per l'energia solare in Italia. Dal 2023 al 2026 il Paese potrebbe installare da un minimo di 16,4 gigawatt (nello scenario più contenuto) ad un massimo di 34 gigawatt, nello scenario più ambizioso. Se l'Italia entro il 2030 centrasse l'obiettivo di installare gli 85 gigawatt rinnovabili previsti dal piano RePowerEU, sarebbe in grado di raggiungere l'84% di energia pulita nel mix di produzione elettrica (dal 36% attuale), con una serie di ricadute ambientali ed economiche, che Elettricità Futura ha quantificato.
Sul fronte ambientale e climatico ci sarebbe una riduzione del 75% delle emissioni di CO2 del settore elettrico rispetto al 1990. Sul piano economico la stima è di 309 miliardi di investimenti e 345 miliardi di benefici cumulati al 2030 in valore aggiunto per la filiera delle rinnovabili e l’indotto, ovvero più di 38 miliardi all’anno, equivalenti al 2,2% del Pil. Sul piano occupazionale si stimano 470.000 nuovi posti di lavoro nella filiera e nell'indotto elettrico al 2030.
Il freno della burocrazia
Questi investimenti darebbero un grande slancio all’economia italiana, che ormai da trent’anni è in stagnazione: l’Italia è fanalino di coda in Europa per la crescita del Pil, che dal 1993 è cresciuto solo del 22%, rispetto a una media europea del 56%.Le barriere autorizzative rimangono la sfida principale per i progetti fotovoltaici più grandi, che per forza di cose devono essere installati a terra.
Malgrado la forte richiesta, infatti, le autorizzazioni arrivano con il contagocce e l’ultima parola delle sovrintendenze è troppo spesso negativa. In base alle analisi degli operatori, resiste in Italia una barriera culturale, tipicamente declinata nella cosiddetta sindrome Nimby (Not In My Backyard) e associata a falsi miti, come quello dello spazio occupato dalle rinnovabili che toglierebbero territorio, ad esempio, all'agricoltura.
Un concetto assolutamente irrealistico, considerando che, anche se installassimo tutto il fotovoltaico di cui abbiamo bisogno per raggiungere i target del Green Deal, occuperemmo verosimilmente una percentuale di circa lo 0,2% di tutto il territorio italiano ossia lo 0,3/0,4% della superficie agricola complessiva: valori totalmente marginali e inferiori, ad esempio, ai campi abbandonati o alla superficie occupata da piazzali e parcheggi per le auto. Senza contare che sono possibili delle soluzioni di agrivoltaico, che anche il Pnrr individua fra le sue linee d’azione e che ridurrebbero ulteriormente queste percentuali.
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