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Wall Street in zona «Orso». Mercato diviso in due: ecco le variabili chiave

La Borsa Usa è entrata nell’Orso, appesantita dai timori su crescita, utili e margini delle aziende. Ecco le incognite che pesano ancora

di Morya Longo

Articolo aggiornato il 20 maggio alle 18.44

La Borsa, gli indici del 19 maggio 2022

4' di lettura

Revelation Biosciences, società attiva nella ricerca di terapie immunologiche, il 4 gennaio ha toccato il suo massimo storico al Nasdaq: 10,55 dollari per azione. Peccato che da allora il titolo abbia perso il 94%. E non è l’unica: sono sette le società del Nasdaq che dai massimi toccati nel 2022 (chi a gennaio, chi a marzo) hanno perso più del 90%. Sono 46 quelle che hanno bruciato, sempre dai massimi storici del 2022, oltre il 50% del valore. E 64 quelle che sono sotto di oltre il 20%. A Wall Street ci sono casi meno eclatanti, ma se si considera che anche un colosso come General Motors dal record storico toccato il 4 gennaio ha perso il 45%, si capisce l’entità del ritracciamento delle Borse. È vero che ogni azienda ha una storia a sé, ma la debàcle - al netto del tentato rimbalzo e dei continui cambi di fronte di ieri - è collettiva.

L’estrema volatilità di mercoledì, giovedì e venerdì conferma insomma che i nervi sono tesi: un po’ per i dati economici statunitensi negativi e un po’ per l’allarme sui margini lanciato da due colossi della grande distribuzione come Walmart e Target, i listini hanno registrato ulteriori ribassi. Se le Borse americane hanno preso la sberla mercoledì sera (con ribassi superiori al 4%), quelle europee sono scese giovedì: Francoforte -1,09%, Parigi -1,52%. Ha tenuto solo Milano: -0,09%. E quelle americane sono tornate a scendere venerdì, entrando ufficialmente in territorio da “orso”.

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IL GRANDE “RIPREZZAMENTO”
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Le Borse toccano il fondo?

Una domanda inizia dunque a girare sul parterre di Borsa: possiamo sperare di avere toccato il fondo? Se si guardano i multipli di Borsa, si scopre infatti che il rapporto tra prezzi delle azioni e utili attesi è sceso su livelli più normali: a Wall Street è intorno a 17 volte e sulle Borse europee sotto le 12 volte. Erano rispettivamente a 22,71 e a 16,45 a inizio 2022. La domanda è dunque naturale: le Borse ora scontano la realtà oppure hanno ancora quotazioni troppo “ottimistiche”? Se si pone questa domanda agli investitori, e agli analisti di Borsa, si trova un ampio ventaglio di risposte. Per un motivo semplice: l’incertezza è troppo elevata per stabilire se i parametri di Borsa siano attendibili o no.

I segnali di «ipervenduto»

Se si guardano i dati, in effetti si potrebbe pensare che il crollo possa anche bastare. Negli Stati Uniti da inizio anno i tassi di interesse a lunga sono saliti molto sia in termini nominali (i tassi swap decennali sono andati da 1,32% a 2,63%) sia in termini reali (da -1,45% a -0,39%). Sul mercato azionario sono invece scesi, come detto, i rapporti tra prezzi e utili (P/e). Questo ha fatto lievitare il rendimento delle azioni (earning yield), di pari passo con quello dei titoli di Stato.

Morale: il premio per il rischio che le azioni pagano agli investitori rispetto ai titoli di Stato è rimasto quasi immutato: era di 5,86 punti percentuali a inizio anno e ora sta a 6,18 in base ai calcoli effettuati da Pictet Am. Questo significa che l’improvvisa stretta monetaria della Fed ha fatto salire tutti i rendimenti (quelli azionari e quelli obbligazionari), lasciando la differenza tra i due quasi invariata.

Secondo Andrea Delitala, head of investment advisory di Pictet Am, questo significa che lo shock arrivato sul mercato statunitense è stato tutto causato dalla Fed. Si è trattato insomma di un “repricing”: un riprezzamento collettivo. «Dato che a guidare le Borse americane è stata la Banca centrale, per capire se abbiano toccato il fondo bisogna domandarsi se la Fed proseguirà con la stretta che il mercato si aspetta oppure se diventerà ancora più aggressiva - osserva Delitala -. Nel caso in cui facesse quello che il mercato già sconta oggi, cioè portasse i tassi fino al 3%, allora le valutazioni potrebbero mantenersi sui livelli attuali, e persino assestarsi un poco. Altrimenti, in caso si prospettino maggiori rialzi, ci sarebbe un’ulteriore discesa dei prezzi. L’altra variabile incerta riguarda gli utili delle aziende».

Anche altri addetti ai lavori mostrano un atteggiamento possibilista. Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte, nota che l’indice «Fear and greed» mostra che sul mercato la paura è quasi al massimo possibile: in una scala da zero a 100, l’indice segna 9. Segno possibile di «ipervenduto». Anche Giuseppe Sersale, di Anthilia, pensa che sul mercato ci sia un eccesso di pessimismo: «Solitamente quando si raggiungono questi livelli di ipervenduto, il mercato rimbalza - osserva -. Non lo fece solo in due casi: nel 2008, perché c’era una crisi sistemica, e nel 2020, per la pandemia. Se non si va verso la recessione, allora il mercato può rimbalzare».

La variabile economia e utili: ecco cosa potrebbe peggiorare

Questo è proprio il problema: «Se non si va verso la recessione». Il punto è che gli investitori continuano a pensare che l’economia americana ed europea possano crescere, seppur più lentamente rispetto alle previsioni precedenti. E pensano che gli utili delle aziende americane possano salire nell’intero 2022 del 10% negli Stati Uniti e dell’11% in Europa (dati medi di Bloomberg). Ma sarà effettivamente così? Questa è la variabile chiave per capire se le Borse possono rimbalzare oppure non ancora. «Per ora il calo delle Borse è stato causato più da un ridimensionamento dei multipli che da una preoccupazione per la crescita economica - scrivono per esempio gli analisti di Capital Economic -. Solo di recente il rallentamento del Pil ha iniziato a contare sui listini».

Ecco perché la stessa Capital Economics pensa che la Borsa di Wall Street possa raggiungere il fondo verso metà anno, «ma non saremmo sorpresi se cadesse molto di più nel caso in cui arrivasse la recessione». Simile il pensiero di Michael J Wilson di Morgan Stanley: «Il mercato resterà ribassista fintanto che le valutazioni non scenderanno a 14-15 in termini di rapporto prezzo-utili, oppure fintanto che le stime sugli utili non saranno tagliate». E tante sono le opinioni di questo tipo: del resto sta nei fatti scoppiando la bolla gonfiata dalle banche centrali in 15 anni di politiche monetarie ultra-generose. Prima che il mercato si assesti, forse serve un po’ di tempo.

Riproduzione riservata ©
  • Morya LongoVicecaposervizio

    Luogo: Milano

    Lingue parlate: Italiano, inglese

    Argomenti: Finanza, mercati azionari e obbligazionari

    Premi: Vincitore del premio State Street 2018 – Giornalista dell’anno, autore del miglior scoop

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