Weidmann: «Io dopo Draghi alla Bce? Troppo presto per parlarne»
di Alessandro Merli
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DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
FRANCOFORTE - Il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, considerato da molti il nome più accreditato per la successione a Mario Draghi alla guida della Banca centrale europea, ha evitato di esprimersi su una sua possibile candidatura. «È decisamente troppo presto per avere questa discussione – ha detto lunedì sera a un incontro con un gruppo di giornalisti economici di Francoforte – la questione non si pone».
Un “no comment” che suona tutt'altro che come una smentita al possibile interesse per l'incarico. Il nome di Weidmann per la poltrona che sarà occupata da Draghi fino al 31 ottobre 2019, quindi per ancora quasi due anni, era stato avanzato nei mesi scorsi da fonti di alto livello del ministero delle Finanze tedesco, una mossa ritenuta un passo falso, in quanto ha immediatamente esposto la candidatura alle critiche da altri Paesi, con il rischio di bruciarla. Se è vero che Weidmann ha tutte le carte in regola per guidare la Bce e che la Germania, come economia più importante dell'Eurozona, potrebbe rivendicare che l'incarico, andato nei primi anni di vita della banca a un olandese, un francese e un italiano, le “spetta”, è vero anche che il capo della Bundesbank ha votato contro quasi tutte le misure prese dal consiglio, sotto la guida di Draghi, per portare l'unione monetaria fuori dalla crisi.
Anche lunedì, Weidmann ha ripetuto la sua richiesta - avanzata già alla riunione di consiglio di ottobre, quando la Bce ha ridotto da 60 a 30 miliardi di euro l'importo degli acquisti di titoli, prolungandolo fino a settembre 2018 - di fissare una data per la chiusura del programma, il cosiddetto Qe, che è stata invece lasciata indefinita. «Una conclusione più rapida degli acquisti e una data finale comunicata chiaramente sarebbero stati ragionevoli», ha detto il banchiere centrale tedesco. Secondo Weidmann, il quale peraltro ritiene che una politica monetaria accomodante sia «appropriata», il rafforzamento della crescita porterà a maggiori pressioni sui prezzi grazie al miglioramento degli incrementi salariali, e questo, secondo le previsioni della Bce stessa, presentate la settimana scorsa, metterà l'inflazione «sulla strada verso la nostra definizione di stabilità dei prezzi», cioè sotto, ma vicino al 2 percento.
Il mese scorso, l'inflazione è stata dell'1,5 percento. Le nuove stime della Bce la vedono all'1,7% nel 2020. Il consiglio della Bce, nel quale la posizione di Weidmann è per ora minoritaria, ma sostenuta da diversi membri di spicco, affronterà probabilmente la questione del post-Qe a partire dalla prossima primavera.
La Germania è il Paese dove, più di tutti, si è registrato un netto miglioramento del mercato del lavoro, ma scarsi progressi dei salari. Weidmann si è detto fiducioso che questa situazione stia cambiando. Tra l'altro la Bundesbank ha appena pubblicato le sua nuove previsioni che prevedono una crescita dell'economia tedesca del 2,6% quest'anno e del 2,5% l'anno prossimo, che in futuro potrà essere limitata proprio dalle carenze di personale. «Non siamo coinvolti nei negoziati salariali – ha affermato – e rispettiamo l'indipendenza delle parti sociali. Ma ci aspettiamo che l'aumento dell'utilizzo della capacità produttiva e il fatto che in alcuni mercati del lavoro a livello regionale stiano cominciando ad apparire dei colli di bottiglia portino a più forti pressioni sui salari». Il presidente della Bundesbank, che alcuni anni fa è stata criticata proprio per aver sollecitato maggiori aumenti salariali ha precisato che si tratta di «una proiezione, non una raccomandazione».
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