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Welfare e Pmi ancora lontani: le chance per sviluppare piani sostenibili

Aumenta l’interesse delle piccole aziende, ma per una maggiore diffusione bisogna mettere sul tavolo alcune soluzioni: regole più semplici, gestione meno complessa per servizi ricreativi e mutui

di Diego Paciello

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4' di lettura

Diffuso in modo capillare o del tutto assente. Sono le due facce oggi del welfare aziendale, laddove la presenza riguarda le grandi aziende e l’assenza invece le piccole. A dirlo sono le indagini realizzate da alcuni provider di servizi di welfare presenti sul mercato, l’ultima quella svolta dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, in collaborazione con Sodexo Benefits & Rewards Services Italia (si veda pezzo a fianco), che rilevano questa netta divaricazione: tutte le grandi aziende e le multinazionali adottano piani di welfare e di flexible benefit (dai rimborsi per le spese di istruzione alle coperture sanitarie e ai contributi in conto interessi su mutui e prestiti). Sul fronte opposto emerge nettamente che solo poche piccole e micro imprese utilizzano i piani di welfare - per i quali cresce l’interesse - beneficiando, quindi, solo in minima parte delle opportunità che la normativa fiscale offre. Buoni pasto, buoni benzina e buoni acquisto sono, infatti, i benefit più erogati dalle pmi ai propri dipendenti; tutte misure di sostegno al reddito, più che interventi finalizzati al miglioramento del benessere dei lavoratori o alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

Gli ostacoli

Un primo, parziale, nodo riguarda la cultura aziendale e i mercati in cui competono. Le grandi aziende e le multinazionali, spesso, considerano il welfare uno dei pilastri della cultura aziendale e, essendo più orientate al mercato globale, si confrontano con mercati del lavoro molto competitivi nei quali il wellbeing e le leve di attraction e retention non monetarie hanno un forte peso nella total compensation per i lavoratori. Il vulnus principale è però l’attuale strutturazione della normativa fiscale che disincentiva in modo significativo la diffusione del welfare aziendale, ponendo due rilevanti barriere all’ingresso: innanzitutto, i premi di risultato e, di conseguenza, il welfare derivante dalla conversione degli stessi, sono, di fatto, implementati quasi solo dalle medie e grandi aziende. Sebbene la normativa non ne precluda l’utilizzo alle Pmi, la sottoscrizione di un accordo coi sindacati o l’adesione a un accordo territoriale rappresentano, di fatto, un ostacolo all’accesso a questa efficiente fonte di finanziamento dei piani welfare. In secondo luogo, i vincoli imposti dalla normativa, in alcuni casi per i massimali non adeguati al costo attuale della vita, come nel caso dei cosiddetti fringe benefit, in altri per la gestione operativa di alcuni benefit – in particolare per quelli con finalità ricreativa e per mutui e prestiti – rendono complesso e costoso per le piccole e medie aziende l’implementazione di un piano welfare. La mancanza delle risorse umane e, spesso, di uno strutturato reparto amministrativo formato per la gestione di un piano welfare rendono quasi necessario il ricorso a consulenti esterni e a provider di servizi welfare, con un conseguente innalzamento del costo del piano, non compensato dall’efficacia della leva fiscale e contributiva previste dalla normativa vigente.

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LA CONOSCENZA DEL WELFARE AZIENDALE TRA LE PICCOLE IMPRESE
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Le soluzioni

Più che l’innalzamento della soglia di non imponibilità dei fringe benefit, che rappresenterebbe solo un, seppur efficacissimo, sostegno al reddito, potrebbe essere invece un buon punto di partenza:

1 lo svecchiamento della normativa, nata in gran parte prima dell’avvento degli attuali sistemi di pagamento elettronico e dell’e-commerce, mediante una semplificazione della gestione operativa di alcuni benefit.

2 Rendere rimborsabili i servizi con finalità ricreativa, così come accade per le spese di istruzione, ad esempio, invece che imporre l’acquisto all’azienda a seguito di una convenzione, o consentire al dipendente di interfacciarsi, in nome e per conto del proprio datore di lavoro, col fornitore del servizio nel rapporto contrattuale, snellirebbe i processi di acquisto e consentirebbe anche alle aziende meno strutturate e dimensionate di poter gestire con costi più accessibili un piano welfare.

3 Prevedere il rimborso degli interessi passivi su mutui e prestiti dietro presentazione della certificazione dell’avvenuto pagamento, invece che richiedere l’accredito contestuale dell’importo degli stessi, eviterebbe di effettuare calcoli complessi e inutili rischi di conguaglio a fine anno. Un ultimo aspetto riguarda la conoscenza: è prioritario infatti anche un percorso di diffusione di informazioni e di formazione di tutti gli attori del mercato: Pmi, associazioni datoriali, provider di servizi welfare e, infine, i consulenti aziendali.

LA DIFFUSIONE DEL WELFARE AZIENDALE
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I consulenti del lavoro

«Tempi maturi per le micro-imprese»
Come una macchina in grado di percorrere grandi distanze che resta invece parcheggiata. È quanto emerge dall’indagine svolta dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, in collaborazione con Sodexo Benefits & Rewards Services Italia, sulla diffusione del welfare aziendale tra le piccole e medie imprese e sulle sue prospettive di sviluppo nei prossimi anni (un campione di 2mila consulenti del lavoro). Il punto di partenza è che negli ultimi due anni tra pandemia e fiammata inflazionistica i consulenti del lavoro hanno visto aumentare l'interesse delle aziende verso queste misure. Tanto da attendersi un ulteriore sviluppo nell'immediato futuro sia in termini quantitativi che qualitativi. La richiesta per un welfare a misura di Pmi è che sia un welfare snello, agile e flessibile, ma soprattutto un welfare economicamente sostenibile per una azienda di piccole dimensioni. Per raggiungere questo obiettivo due le richieste: più digitalizzazione dei servizi di welfare aziendale e lo sviluppo di un sistema di incentivi per le imprese che erogano servizi di welfare aziendale.

S.U.

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