Festival di Cannes

Wes Anderson in gran forma con «The French Dispatch»

Al Festival di Cannes il nuovo lungometraggio del regista americano. Alla Quinzaine des Réalisateurs «Futura» di Pietro Marcello, Alice Rohrwacher e Francesco Munzi

di Andrea Chimento

The French Dispatch

3' di lettura

Una lettera d’amore al giornalismo e ai giornalisti: è stato definito così «The French Dispatch», nuovo film di Wes Anderson presentato in concorso al Festival di Cannes.
Al centro ci sono vicende e personaggi legati alla redazione parigina del quotidiano French Dispatch, ma la storia segue tre distinte linee narrative che danno vita a una raccolta di storie semi indipendenti, che corrispondono a varie sezioni del magazine.


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Con la consueta verve e il piglio autoriale che lo contraddistingue, Wes Anderson mette in campo tutta la sua esuberanza visiva, mescolando colori e bianco e nero, live action e animazione, oltre a stili di vario genere.Più scatenata che mai, la messinscena del regista de «I Tenenbaum» e di «Fantastic Mr. Fox» raggiunge qui livelli difficilmente toccati in passato: la cura fotografica è impressionante, tanto per i giochi di luci e ombre quanto per l'attenzione con cui vengono inseriti i vari elementi all'interno di ogni inquadratura.

Utilizzando bene l'ironia, il film riesce a divertire e a intrattenere nel modo giusto, grazie anche a un ritmo indiavolato, che non rallenta mai per i circa 105 minuti di durata, e alla divisione in capitoli.

Ottima costruzione dei personaggi

Come praticamente sempre nel cinema di Wes Anderson colpisce la caratterizzazione dei personaggi, interpretati da un cast in gran forma dove, tra i tantissimi nomi famosi, si segnalano Bill Murray, Tilda Swinton, Frances McDormand, Benicio Del Toro, Saoirse Ronan, Willem Dafoe e Timothée Chalamet. Il risultato è un bell'omaggio anche al cinema e ai fumetti di lingua francese: non a caso in apertura c'è un'inquadratura che cita il meraviglioso «Mon oncle» di Jacques Tati, ma sono davvero numerosi i riferimenti al passato sparsi durante la narrazione. L'ispirazione maggiore, però, arriva indubbiamente dal New Yorker, non soltanto per il copione di partenza, ma anche per le immagini proposte, come dimostrano anche molto bene i titoli di coda.

The French Dispatch

Futura

Alla Quinzaine des Réalisateurs è stato invece presentato l'interessantissimo «Futura», un progetto realizzato da Pietro Marcello, Alice Rohrwacher e Francesco Munzi.

I tre registi hanno intrapreso un viaggio in Italia per chiedere ai giovani, prossimi ormai a entrare nel mondo del lavoro, quali siano le loro sensazioni, i turbamenti e le preoccupazioni per il futuro sempre più incerto che li attende. Tre degli autori più importanti del nostro cinema si sono uniti per dare vita a un lungometraggio che può ricordare Pier Paolo Pasolini e il suo «Comizi d'amore», grande indagine fatta negli anni Sessanta per interpellare gli italiani sul tema del sesso.Rispetto a Pasolini, i tre registi non si mostrano e il tema è diverso, ma viene ripresa la lezione del regista di «Accattone» e «Mamma Roma», così come quella di Comencini con «I bambini e noi», reportage sull'infanzia, oltre al “cinema didattico” di Rossellini.

In maniera piuttosto sorprendente, «Futura» non è un prodotto tripartito ma, anzi, è un unico disegno d'insieme in cui non si sente la differenza di sguardo tra un regista e l'altro. È come se i tre avessero lavorato cercando di offrire una panoramica univoca e il risultato è un documentario di forte valore sociologico, capace di far riflettere. Peccato che a lungo andare la pellicola soffra di una certa ridondanza, ma resta un prodotto significativo, che fa bene il suo dovere.

Bergman Island

Bergman Island

In lizza per la Palma d'oro, invece, «Bergman Island» di Mia Hansen-Løve.Protagonista una coppia di autori cinematografici in cerca di ispirazione per i loro prossimi film. Fiduciosi di trovarla in un posto speciale, la coppia si ritira per l’estate sull’isola tanto cara al grande regista del cinema svedese Ingmar Bergman. Giunti sull’isola di Fårö, i due cercano di abbozzare qualche idea immersi nella natura selvaggia del posto. Parte da premesse altissime e molto ambiziose il film della regista francese, autrice di titoli intensi come «Un amore di gioventù», «Eden» e «Le cose che verranno».L'idea è proprio quella di rendere un importante omaggio a un nome come Bergman, sia nella gestione della situazione coniugale (l'autore svedese, con film come «Scene da un matrimonio», è stato tra i massimi registi a trattare le dinamiche di coppia), sia in alcune riflessioni sul rapporto tra realtà e finzione.Gli spunti sono notevoli, anche in relazione all'immaginario metacinematografico messo in campo (che fa pensare anche a Woody Allen), ma rimangono spesso relegati più alla teoria che alla pratica. Manca quella forza creativa necessaria – nella parte centrale soprattutto – a dare vita a un prodotto originale e coinvolgente, nonostante le buone intenzioni e un'efficace struttura circolare, con un inizio e un finale degni di nota. Nel cast Tim Roth, Vicky Krieps e Mia Wasikowska.

Bergman Island


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