X Factor, Anastasio il rapper buonista trionfa in una finale targata Napoli
di Francesco Prisco
4' di lettura
L’opinione pubblica è un mostro mitologico che si nutre di luoghi comuni. E allora i milanesi sono tutti stilisti ed esperti di finanza, a Torino si avvitano bulloni, il romano politicheggia e il napoletano «se non canta muore». La finale della 12esima edizione italiana di X Factor ci consegna un pezzo di questa visione semplificata del mondo: il televoto fa vincere Anastasio, rapper ragazzino, napoletano di Meta di Sorrento, davanti a Naomi, ex cantante lirica convertitasi al neo soul, napoletana napoletana. Terza Luna, piccola cagliaritana aspirante Baby K, quarti i Bowland, la via iraniana al trip hop che passa da Firenze.
Canta Napoli (e lo share ringrazia)
E qui occorre una prima riflessione: il format di Fremanlte e Sky è maturo, l’effetto traino del caso Asia Argento si è esaurito piuttosto rapidamente, tutti si erano un po’ affezionati al tormentone Cherofobia di Martina, la paura di essere felici detta a parole difficili, ma Martina è implosa a un passo dalla finale. Forse per paura di vincere detta a parole facili. Emergenza: chi incoroniamo re di questo ballo che rischia di diventare noioso? Di fronte all’emergenza entrano in gioco i professionisti dell’emergenza, niente di meglio del popolo per cui lo straordinario rappresenta l’ordinarietà: conta Napoli. Anzi: canta Napoli, con Anastasio e Naomi. Quant’è vero che a Napoli il ruolo di capitale della canzone le fu cucito addosso in maniera più o meno artificiosa all’indomani dell’unità d’Italia, quando la metropoli partenopea perse il ruolo di capitale capitale. In termini di ascolti, il ragionamento non fa una piega: la finale è stata vista ieri sera nel complesso da 2 milioni 824 mila spettatori medi, in leggera crescita rispetto allo scorso anno con uno share complessivo del 13 per cento. È la finale più vista di sempre dell’era Sky. Record anche per i voti: è stata l’edizione più votata di sempre con oltre 48 milioni di voti per l’intera edizione. Complice la moltiplicazione dei canali di voto. I luoghi comuni pagano.
Anastasio, ovvero: il reboot di Rocco Hunt
E allora eccovi Anastasio, primo rapper a salire sul gradino più alto del podio dell’edizione italiana del talent show, faccia pulita da ragazzo educato, sorrentino prima che napoletano. Sembra quasi la risposta clean cut alla rabbia disordinata dei ragazzacci della trap (a proposito: bello il minuto di silenzio in avvio di trasmissione per ricordare le vittime di Corinaldo). Canta La fine del mondo, nel senso del titolo dell’inedito con cui si afferma, occhieggia a Napoli («Non ho mai visto il Napoli di Maradona»), mostra fiero il tatuaggio di D10s (qualcuno dice non indelebile), gli dedica la vittoria come fosse Paolo Sorrentino alla cerimonia degli Oscar e tutti gridano al grande poeta della contemporaneità. Anche quando infila ingenuità adolescenziali ne La porta dello spavento, capolavoro ermetico di Battiato e Sgalambro. Per carità: ci sta simpatico e il pamphlet calcistico a forma di hip hop Come Maurizio Sarri un anno fa mostrava ben altri presupposti. Ma il buonismo che abbiamo visto trionfare sul palco del Forum di Assago sembra un reboot di Rocco Hunt. E dire che una volta a Napoli il rap era quello dei 99 Posse. A proposito: com’è che Anastasio non rappa in napoletano?
Ha vinto la prevedibilità
Naomi, se parliamo di doti canore, non aveva rivali. Che cantasse o rappasse. Ha pagato un inedito così così (la crepuscolare Like the Rain) e un physique du rôle meno spendibile sul mercato musicale dell’Italia contemporanea. La gerarchia che vedeva Luna terza (fin troppo sgamato l’inedito Los Angeles) e i Bowland quarti (qualche azzardo intrigante sull’ipnotica Don’t stop me) era fin troppo prevedibile. Così com’è apparsa prevedibile l’intera edizione, tolta l’uscita a sorpresa di Martina che, in una certa fase, sembrava predestinata alla vittoria. Tutto scritto nelle stelle, o suppergiù. Era come se fosse scritto nelle stelle che Leo Gassmann doveva arrivare almeno alla semifinale, era come se fosse scritto nelle stelle che Sherol, altra voce dignitosissima, dovesse cedere il passo prima della semifinale, stesso dicasi per le precedenti eliminazioni tutte, una dopo l’altra, indovinabili.
Gli addii di Fedez e Agnelli per dare «pepe»
A provare a muovere le acque gli annunciati adii dei giudici Fedez e Manuel Agnelli che suonano un po’ come il morettiano «mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?» Il posto in cui andare, s’è capito, sarebbe l’edizione 2019. Fedez, durante la finale, ha speso addirittura una specie di discorso del re che manco Giorgio VI d’Inghilterra su quanto sia stato importante per lui il ruolo ricoperto in questi anni a X Factor. E vagli a dare torto: senza, sarebbe stato molto meno influencer. Tanto mestiere da parte di Mara Maionchi, giudice vincitore con la categoria Under uomini, bravissima a blindare in cassaforte il successo di Anastasio, mentre Lodo Guenzi, subentrato ad Asia, si è «sgonfiato» via via che la competizione entrava nel vivo. Giusta chiave di originalità nella direzione artistica di Simone Ferrari, quanto ad Alessandro Cattelan ribadiamo un concetto più volte espresso in questi anni: dategli Sanremo. Quanto a tutto il resto, ci chiudiamo nell’insormontabile interrogativo che ha animato la stesura di questo pezzo: cosa si dovranno mai inventare Sky e Fremantle, prima della 13esima edizione, per defibrillare un format appiattitosi così pericolosamente? È vero che in Tv i luoghi comuni sono una garanzia, ma di luoghi comuni, prima o poi, si muore.
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