Xi rilancia sul multilateralismo: «Una governance globale»
Il leader cinese critica l’approccio da guerra fredda degli Stati Uniti. Per lui i timori nei confronti di Pechino sarebbero solo «pregiudizi ideologici»
di Rita Fatiguso
3' di lettura
Tornata nella pensione dorata di Mar-a-Lago l’arroganza di Donald Trump; arginato, almeno in parte, il Covid-19, il core leader Xi Jinping dal podio virtuale di Davos rivolge lo sguardo ai destini dell’umanità.
Fa il bis, al World Forum, ma in uno scenario radicalmente diverso rispetto a quattro anni fa quando debuttò, a sorpresa, a pochi giorni dall’insediamento di Trump, al posto del premier Li Keqiang, habitué del World Forum in virtù della sua antica delega all’economia.
Xi Jinping lanciò un ramo d’ulivo che cadde nel nulla, oggi parla a un mondo fiaccato dalla pandemia e dalla recessione, da una Cina che nel 2020 ha incassato una crescita del 2,3 e che nel 2021 potrebbe arrivare all’8,3. Risuona la voce di Pechino, con le sue certezze snocciolate come un mantra fissate in decine di discorsi raccolti nei volumi “Xi Jinping e la governance della Cina”. Oggi, però, l’audience, non ha confini.
Per questo il tono del presidente cinese è fermo, non tollererà più - dice - atteggiamenti muscolari e petti in fuori e qui rispunta il convitato di pietra, sempre lui, Donald, mai nominato ma evocato attraverso quei suoi modi quanto mai urticanti per il sentire cinese.
Xi Jinping parla a Joe Biden, senza nominare nemmeno lui, il vice di Obama che lo definì «un delinquente» e che, oggi, è accusato di continuare il «trumpismo senza Trump».
Da Davos Xi Jinping ribadisce il credo nel multilateralismo e, anche, nel rispetto delle reciproche diversità («non potremo mai essere uguali») tra Stati, auspicando la ricetta per una soluzione win win che sconfigga il virus e sorregga le nazioni sottosviluppate, oggi ancora più in difficoltà, verso un futuro di prosperità condiviso da tutta l’umanità.
Xi Jinping non nasconde i cocci sul terreno. La Cina è riuscita ad acquistare solo la metà dei prodotti della Fase1, ha perso 60 miliardi di dollari per le aziende in black list sospettate di legami con la Difesa, anche le società straniere in Cina hanno subito forti pressioni al decoupling tra Cina e Usa delle loro filiere. L’automotive bussa alle porte di Taipei per i chip auto mancanti a causa della chiusura delle fabbriche in Cina. (si veda il box in pagina).
Tutto questo va archiviato. Ma non è finita. La Cina ha dovuto incassare le accuse di genocidio per la questione degli uiguri. La rimozione del divieto deciso dall’ex segretario di Stato Mike Pompeo allo scambio di funzionari con Taiwan, inammissibile per Pechino che considera Taiwan una provincia ribelle da riportare a casa come il figliol prodigo, se occorre, anche con la forza.
Il nodo Taiwan, «il cui sangue è più denso dell’acqua che la separa dalla Cina», Xi Jinping disse nel Report al 19° Congresso, ottobre 2017, è cruciale in questi giorni. Lo sgarbo di Joe Biden, l’invito alla festa di insediamento della rappresentante di Taiwan a Washington che, per giunta, filma e posta un video. La partenza stoppata in extremis dell’ambasciatrice Usa all’Onu diretta a Taipei. Di qui le ritorsioni su Pompeo e altri 27 messi all’indice per sempre. E, nel weekend, una dozzina di caccia cinesi che viola a più riprese lo spazio aereo di difesa, Taiwan che si tutela e incassa la dichiarazione di fedeltà di Joe Biden. Come il Giappone, rassicurato sul fronte caldo del Mar cinese meridionale dove i due Paesi litigano per le isole Diaoyu-Senkaku.
La squadra di Joe Biden non piace ai cinesi, a partire dal segretario di Stato Antony Blinken («la Cina resta il problema numero uno»), dalla rappresentante per il Commercio Katherine Tai, un “falco”, per giunta di origine asiatica, soprattutto il redivivo mentore del piano di Obama “Usa pivot to Asia”, Kurt Campbell, coordinatore degli affari dell’Indo-Pacifico e vice del consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan.
Insomma, dietro la flemma del presidente cinese e dei suoi trenta minuti di discorso all’insegna della pace, del multilateralismo - in particolare Xi ha auspicato il rapporzamento del G20 «per un più stretto coordinamento delle politiche macroeconomiche -, della collaborazione e della solidarietà mondiale, lotta all’inquinamento, neutralità climatica entro il 2060, Belt&Road di qualità e dual circulation, c’è fermento geopolitico. Tanto che a ridosso del fine settimana il Parlamento cinese ha sfornato, dopo lunghissima gestazione, la nuova legge che permetterà alle guardie costiere cinesi di potersi difendere usando la forza contro le navi straniere a difesa della sovranità nazionale, della sicurezza e dei diritti e degli interessi marittimi.
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