Yan Pei-Ming, la Storia nei suoi ritratti
La mostra “Yan Pei-Ming. Pittore di storie” è visitabile fino al 3 settembre
di Francesca Vertucci
I punti chiave
3' di lettura
La peinture n'est pas une caresse”: è riassumibile in questa frase tutto il lavoro magistrale di Yan Pei-Ming (Shangai, 1960). Uno stile unico basato su una pittura esistenzialista e catartica, che sfocia irrimediabilmente nel tema della morte – più o meno celata – ma sempre passaggio inesorabile per ogni essere umano. Palazzo Strozzi di Firenze, con la curatela di Arturo Galansino, presenta oltre trenta opere dell'artista cinese, in un continuum temporale tra Oriente e Occidente, memoria e presente, identità personale e storia collettiva, grandi autori e icone culturali. Già dalla prima sala del percorso espositivo, con l'immenso autoritratto in tre tempi dal titolo “Nom d'un chien! Un jour parfait”, in cui l'artista si rappresenta frontalmente in pose che evocano la crocifissione tipica dell'iconografia cristiana, si nota la sua singolare profondità stilistica. La predilezione per la ritrattistica a larga scala emerge sempre più nelle sale successive, in cui rappresenta la madre con profonde, dolorose e ampie pennellate: è il caso di opere come “Ma mère”, dove inventa per la madre una sorta di paradiso personale e la omaggia con un buddha dipinto dai toni aranciati e di encomiabili dimensioni. “Il ritratto è come uno specchio, riflette chi siamo, cosa siamo […] è il centro del mio universo.”
“Pittore d'assalto”
È dalla terza sala, con la monumentale installazione de “Les Funérailles de Monna Lisa” che si può comprendere quanto il suo amore per la ritrattistica in raffronto a opere iconiche mondialmente riconosciute come la Gioconda di Leonardo segnino il suo tratto unico, tanto da definirsi “pittore d'assalto”. Yan Pei-Ming dipinge infatti attaccando la tela con estrema energia e con vigorose pennellate, stese senza disegni preparatori né supporto, ma radici del suo dissidio interiore, traslato nel caos dell'intero genere umano. “Monnalisa è un mistero, come la morte stessa”, ribadisce l'artista, che amplia il paesaggio originale del dipinto con due tele e inserisce la sua vicenda personale in dialogo con il quadro più famoso del mondo: sulla parete sinistra ritrae il padre in ospedale e sulla destra la propria morte in giovane età, creando così un unicum che unisce eternità e mortalità al tempo stesso.
Dal neutro del bianco e nero
Dalla quarta sala si passa dal neutro del bianco e nero – colori soventemente usati dal pittore – al bicolor dai toni sgargianti: una scelta che strizza l'occhio a Warhol e che dona nuove sfaccettature ai suoi lavori. Ispirandosi ironicamente all'algido dipinto di Jacques-Louis David del 1793, “Marat assassiné”, Yan Pei-Ming lo modernizza rendendolo brillante e vibrante, un trittico con al centro la versione rosso sangue. Fa lo stesso con l'opera di Goya “l'Exécution”, in cui elimina i cadaveri sul terreno trasformandoli in lampi, per mostrare solo “gli uomini che resistono”. Nutrendosi del lavoro dei grandi pittori, reinterpreta e ridà vita a vecchie storie, creando moderne visioni. “Non si può dipingere senza emozioni”, così sostiene l'artista, che nell'opera “À l'est d'Eden” si ispira alla pittura di Courbet, pittore rivoluzionario socialista amato in Cina: il monumentale dittico, materico e scurissimo, mostra gli uomini con i loro istinti primordiali trasformati in bestie. La tela però assume significato, come molte opere di Yan Pei-Ming, solo se guardata da lontano. Ed è proprio questo sguardo distaccato che permette alle macchie astratte di divenire gioiello prezioso. Lo stesso vale per tutte i simboli della sua gioventù orientale: da Mao Zedong ai suoi miti, anello di congiunzione tra Hong Kong e Hollywood, come Bruce Lee o lo yang – l'energia maschile – della tigre e il dragone. Questa commistione tra Oriente e Occidente è un tratto distintivo dell'artista, che però offre un omaggio anche alla storia italiana del Novecento tramite le fotografie, traslate in pittura, dell'omicidio di Aldo Moro e di Pier Paolo Pasolini. Un regalo all'ingiusta fine di due grandi figure italiane, flash di istanti brutali che acquisiscono potere e nitidezza solo da una certa distanza, lo stacco necessario per essere compresi e analizzati. Vessati pittoricamente invece i due “cattivi” della Storia: Benito Mussolini e Adolf Hitler. Il primo viene dipinto dall'artista appeso a testa in giù insieme all'amante Claretta Petacci, mentre il secondo ricorda un'incisione metaforica di Dürer - Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo – rappresentante il Führer a cavallo con indosso un'armatura medievale e in un occhio una macchia nera dipinta, simbolo di damnatio memoriae per la sua disumanità.
Yan Pei-Ming. Pittore di storie, Palazzo Strozzi (Firenze), fino al 3 settembre 2023
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