Yemen, il prezzo del ritiro americano dal Medio Oriente
di Ugo Tramballi
2' di lettura
La guerra nello Yemen e il comportamento saudita sono il primo esempio concreto del Medio Oriente post-americano; della mutazione geopolitica e militare, risultato della progressiva dismissione di responsabilità degli Stati Uniti nella regione. E probabilmente non solo in questa regione.
Già con Barack Obama i sauditi avevano capito che qualcosa stava cambiando; che difficilmente l’America avrebbe continuato a fare ciò che nel 1945 Franklin Roosevelt aveva promesso a re Abulaziz ibn Saud sull’incrociatore Quincy, all’ancora nei Laghi Amari: garantire la sicurezza del regno saudita per i decenni a venire. Per questo da diversi anni l’Arabia Saudita è uno dei primi compratori nel mercato globale delle armi.
Ma non basta avere caccia e cannoni per diventare potenza: occorrono esperienza, diplomazia, visioni. Una diplomazia cauta ma efficace, il regno l’aveva. Poi è arrivato MbS, Mohammed bin Salman, il principe ereditario che già governa al posto del padre ottuagenario. E poco dopo a Washington è arrivato anche Donald Trump con la sua angst dismissiva: l’ansia dell’uomo d’affari che vuole tagliare le spese improduttive della sua impresa, anche se il businessman lavora alla Casa Bianca e i rami secchi sono la potenza militare e politica americana nel mondo.
Spinto da Trump, MbS ha incominciato a comportarsi come lo statista-stratega che non è: ha sequestrato il primo ministro del Libano, isolato il Qatar, imprigionato dissidenti (quest’anno le condanne a morte sono più che raddoppiate rispetto al 2017), ordinato di eliminare Jamal Khashoggi, e guidato una guerra in Yemen. Le colpe del conflitto sono ripartite con l’Iran e le milizie sciite, ma la brutalità e l’incapacità mostrate dai sauditi hanno trasformato il conflitto nella peggiore crisi umanitaria al mondo, secondo le Nazioni Unite.
Nonostante i precedenti, il presidente ha continuato a contare sul principe come curatore degli interessi americani in Medio Oriente, senza investire denaro americano. Quando la comunità internazionale, gli alleati, il Congresso e perfino i senatori repubblicani hanno condannato MbS per l’assassinio di Khashoggi, Trump ha insistito e ricordato che gli Usa avrebbero perso più di 100 miliardi in contratti militari e ceduto alla Russia un mercato così lucrativo. Era una doppia bugia: per ora i sauditi non hanno firmato contratti ma fatto solo promesse. E nessuno può sostituirsi agli Usa. L’aviazione, i carri armati, l’artiglieria, i sistemi d’arma, i materiali sauditi sono americani. Per sostituirli non basta comprare caccia e missili russi. Occorrerebbe investire daccapo e spendere per la sicurezza cifre che nemmeno un regno petrolifero può permettersi.
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